venerdì 28 ottobre 2011

Recensione film "Segreti di famiglia"





Segreti di famiglia,drammatico,2009
di Francis Ford Coppola(titolo originale “Tetro”)

Seppur la trama non sia singolare, la modalità ricostruttiva con cui si snoda Segreti di famiglia è distintiva del maestro. La scelta di raccontare il presente in un evocativo bianco e nero e il passato a colori, pare sottolineare l’incombente presenza di un passato che, per quanto si fatichi di allontanare, torna. La pellicola racconta infatti la pesantezza di taluni legami familiari attraverso una dinamica in cui si rincorrono l’esigenza della fuga e il bisogno di ricucire e di conoscere, che paiono solo a prima vista due soluzioni diverse. Il diciottenne Benne, (che ricorda molto Leonardo Di Caprio) si reca in un quartiere di Buenos Aires per ritrovare l’amato fratello maggiore Angelo – Tetro, scomparso da più di dieci anni da New York. Fra i due fa da mediatrice la splendida Miranda, discreta compagna di Tetro, che favorisce inconsapevolmente una ricomposizione familiare. Se il finale previsto dalla sceneggiatura, firmata dallo stesso Coppola, mette in scena lo svelamento di una verità presumibile e forse perfino in modo caricaturale, sottolinea però l’esito di un dramma esistenziale. La ricerca ostinata di “avvicinare” un modello - mito accomuna i due fratelli Tetrocini, ma con conseguenze diverse. Nel malinconico poeta Tetro, vittima del senso di colpa per aver causato la morte della madre, questa ricerca identificatoria obbliga alla fuga dalla figura paterna castrante e inavvicinabile. Lo spettatore assiste così allo sviluppo del significato della scelta di Tetro di interrompere i rapporti con la famiglia d’origine, che apre il film e trova un suo primo e possibile chiarimento nella scena in cui “Il Grande Uomo” (come lo definisce il protagonista stesso) informa il giovane figlio che “c’è spazio per un solo genio in questa famiglia”. Accompagnato da un gesto d’affetto questa frase sembra quasi sentenza che compendia la sofferenza dell’impossibilità di separarsi e individuarsi. Solo la morte reale del proprio padre potrà permettere a Tetro di confessare e vivere la propria paternità. Nell’ingenuo cuoco – marinaio Benne, questa ricerca di “avvicinare e ritrovare” un modello diviene autentica spinta, coraggio di violare e toccare con mani il segreto e l’intoccabile. Notevole la fotografia, diretta da Mihai Malaimare, bravi gli attori.


A cura della dott.ssa Tiziana Carciotto
Psicologa - Via Siena 24, Catania

mercoledì 26 ottobre 2011

Il nostro bambino relazionale

Carissimi,
oggi posto una citazione di Freud (1905, Tre saggi sulla sessualità) che, 
seppur breve, stimola diverse riflessioni personali-relazionali. 
 
"Zia, parlami! Ho paura, c’è tanto buio qui”. 

La zia gli rispose: “A che servirebbe? 
Tanto non puoi vedermi”.

“Non c’entra”, rispose il bambino, 
“se qualcuno parla, il buio scompare”

Ciò di cui aveva paura il bambino non era il buio ma l'assenza di 
qualcuno che amava; ed egli era certo di non aver più paura, appena avesse 
sentito la presenza di quella persona. 
Ma troppo spesso ignoriamo il bisogno di quel bambino che vive dentro di noi
e le relazioni interpersonali subiscono sofferenza e dolore...prestate attenzione
al vostro "bambino" interno... 
Buona giornata
dr Marco Santini
www.percorsipsicologici.com

venerdì 21 ottobre 2011

Recensione film "Terraferma"



Mi piace molto l’esplicitazione di psicoterapia come luogo in cui “delle tessere si incontrano e si incastrano dando un'immagine di sé più chiara e più consapevole”. Direi una immagine maggiormente integrata. Mi collego a ciò per parlare dell’integrazione seppur non nei termini di obiettivo terapeutico ma nei termini di integrazione tra culture, in particolare la possibilità di accogliere nei Paesi di appartenenza popoli che provengono da altre culture. Prendo volentieri in prestito la sensazione di grande confusione e disorientamento che mi ha lasciato la visione del film “Terraferma”, di Emanuele Crialese, per confessare quanto difficile è risultato il tentativo di prendere una posizione al riguardo, di trovarla dentro di me. Credo sia argomento di attualità molto denso e vasto quello dell’immigrazione clandestina, e si presta anche a posizioni retoriche. A caldo ho apprezzato molto la pellicola, ma ripensandoci ho fatto molta fatica a ritrovarmi in una posizione. Invito pertanto quanti interessati a vedere questo film per poter ricevere anche dei rimandi utili. Mi affido al cinema, non ho ricordo di molti film al riguardo.
Il regista Emanuele Crialese coraggiosamente lo affronta, così come Giorgio Diritti, in modo diverso, nel meraviglioso “Il vento fa il suo giro” (Italia, 2005). Chissà, in verità mi chiedo, se Crialese col suo ultimo film volesse davvero parlare e affrontare la spinosa questione, di certo l’impianto narrativo pare essere quello. Nella meravigliosa fotografia, grande protagonista è il mare, azzurro di giorno, nero di notte. Il mare attorno alla ferma Terra di un’isola siciliana. La terra è punto di partenza o punto di arrivo? Alla terra ci si aggrappa, come fa il protagonista che da sempre vive là, ma si aggrappano anche frotte di persone che dopo inenarrabili viaggi approdano a terra. Questa terra protegge ma anche cattura. Diventa un luogo isolato e privilegiato da cui è difficile staccarsi. Le parole del meraviglioso interprete Mimmo Cuticchio sono “Io non ci vado in ospedale” come se vivere là bastasse a tutto. Si vive sul mare e si vive di mare. Ma il mare ha anche delle regole, ma quali? “Non si lascia un uomo in mare”: questa legge si incontra/scontra con quella dello Stato che punisce coloro che aiutano e quindi favoreggiano l’immigrazione clandestina, e se "un tempo le decisioni si prendevano tutti insieme" la sensazione del film è di solitudine. Ci si trova soli, ognuno fa i conti con le proprie scelte. Il mare è frontiera che conduce al conflitto e il dilemma del film è che bisogna decidere, da soli, e facendo i conti con conseguenze e colpe in sospeso. Cosa salvare e chi salvare. . .?

A cura della dott.ssa Tiziana Carciotto
Catania - Via Siena 24

Recensione film "This must be the place"




Il titolo del nuovo film di Paolo Sorrentino contiene la chiave di lettura della sua ultima opera. Di nuovo il ritratto di un uomo al centro della narrazione, come già ne “Il divo”, e ne “Le conseguenze dell’amore”. Sean Penn ci regala l’interpretazione di una rock star che s’imprimerà a lungo nelle menti degli spettatori. Questa volta il personaggio è alla ricerca di se stesso, lungo un percorso che lo porta alla scoperta della propria identità. Il road movie del regista italiano non è privo di sbavature nella sceneggiatura (a volte confusa) e non sempre riesce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore, ma è un film complesso,  mai banale, che fa interrogare sugli imperscrutabili processi che portano alla definizione dell’identità di ciascuno di noi. La macchina da presa segue S. attraverso gli Stati Uniti con un tono leggero. Il suo viaggio, per quanto scandito da incontri improbabili e da dialoghi grotteschi, culmina nel forte impatto drammatico della scena finale: il vecchio di 95 anni, ex-nazista, che cammina sulla neve per espiare le proprie colpe, mette in evidenza tutta la fragilità della condizione umana, ed è un’immagine che difficilmente potrà venire dimenticata.
Alla fine del suo percorso C. sembra potersi riappacificare con l’identità del padre e quindi con la propria, potendo così dismettere i panni indossati durante la ribellione dell’adolescenza e mai più riposti. This must be the place: quel luogo metaforico, che può essere trovato alla fine di un percorso interiore, un viaggio analitico, ma che segna un nuovo inizio, libero dalle costrizioni della coazione a ripetere.
L’uso eccellente della fotografia e il delicato utilizzo della colonna sonora, come sempre azzeccata, contribuiscono ad accrescere il valore dell’opera ultima di Sorrentino, che fa centro ancora una volta.

A cura del dott. Damiano Bertolino
Padova - Via Cavallotti 61
cell: 3669309334

martedì 18 ottobre 2011

Quando fare una psicoterapia?


Carissimi,

oggi vorrei spendere due parole su un tema che spesso è menzionato nelle domande che mi giungono per e-mail, ossia quando è necessario fare una psicoterapia e soprattutto la paura di intraprendere un percorso sconosciuto e, molto spesso, anche temuto. Credo che le paure in gioco siano diverse, soggettive, relative alla propria storia, ma spesso emerge anche una paura legata al fatto che non si sa cosa cosa ci si aspetta da questo passo così importante. Spesso ci sono paure di dipendenza (devo dipendere dal mio psicoterapeuta), di intrusione (non voglio che mi si legga nel pensiero), preconcetti (è per i matti, io sto benissimo!). Ora, io ritengo che la psicoterapia sia invece un momento della vita della persona in cui il soggetto vuole fare un pò di chiarezza su cosa non va, un percorso in cui, con l'ausilio di una persona esperta, si intraprende un viaggio alla scoperta di parti di sè sconosciute, messe in ombra, di cui non si è mai voluto forse sapere troppo ma che ci parlano fin troppo (con i sintomi, con il malessere). Tenendo a mente questa visione, allora la psicoterapia non è più un'esperienza da temere, ma un momento che può far accrescere maggior consapevolezza di sè e per certi versi è un momento anche di crescita personale. Un momento dove le proprie tessere del proprio puzzle, chiamato vita, si incontrano e si incastrano dando un'immagine di sè più chiara e più consapevole delle varie parti che ci caratterizzano come individui.

giovedì 13 ottobre 2011

Ansia, ansia, ansia......

I disturbi d'ansia sono stati per lungo tempo considerati forme di nevrosi, ovvero un insieme molto vasto di disturbi caratterizzati da ansia non legata a ragioni obiettive e da altri problemi associati. Questi disturbi vennero concettualizzati grazie al lavoro clinico svolto da Sigmund Freud sui suoi pazienti; di conseguenza, la categoria diagnostica delle nevrosi finì per essere inestricabilmente connessa con la teoria psicanalitica. Inizialmente vennero inseriti nel gruppo delle nevrosi disturbi molto diversi fra loro, utilizzando come criterio diagnostico il fatto che alla base di tutti vi fosse un problema di ansia rimossa.
Col trascorrere del tempo diversi psicopatologi iniziarono a mettere in discussione l'opportunità di mantenere in vita il concetto di nevrosi, dato che era diventato talmente esteso e onnicomprensivo da svuotarsi di ogni significato quale categoria diagnostica. A partire dalla terza versione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e specialmente nella quarta (ed ultima, allo stato presente), le vecchie categorie delle nevrosi vengono redistribuite tra nuove e più precise categorie diagnostiche; fra queste i disturbi d'ansia. Non c'è solo un ansia "cattiva", l’ansia "buona", fisiologica e funzionale rappresenta una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con maggiore attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia e senza di essa molte emozioni sarebbero più sbiadite, meno intense e suggestive.
Pensiamo ad un incontro con una persona che ci attrea e ci interessa e al corollario di emozioni che accompagna questo evento…
L’ansia può essere quindi uno strumento un limite a seconda dell’uso che ne facciamo o del modo in cui la viviamo.Se però ci costringe a vivere le situazioni con preoccupazione, ad evitarle (fobie) o a rinchiuderci in noi stessi, allora è il caso di affrontarla rivolgendosi ad uno specialista.

dr Marco Santini
www.percorsipsicologici.com

mercoledì 12 ottobre 2011

Recensione film "Vai e vivrai"

Vai e vivrai, drammatico, 2005
di Radu Mihaileanu (titolo orig. “Va, vis et deviens”)


L’imponente film di Radu Mihaileanu, anche per la durata, racconta il viaggio verso una nuova vita di un piccolo cristiano etiope, rifugiatisi nei campi profughi del Sudan per sfuggire alla carestia e costretto dalla madre a fingersi ebreo per potersi salvare ed entrare a Gerusalemme assieme ad un gruppo di Falasha, gli unici ebrei d'Africa, grazie all'iniziativa dello stato d'Israele e degli Stati Uniti,  la cosiddetta operazione Mosè, verso la metà degli anni Ottanta. "Vai, vivi e diventa" . Bello il titolo originale che diventa monito interiore che attraversa e segna la dolorosa crescita,  il riconoscimento di un presente estraneo in una lotta interna rispetto alle proprie origini. E al suo segreto. Il bambino diventa giovanotto e poi uomo alla ricerca della propria identità incarnata dal passato, dalla figura della propria madre naturale. E solo quando si paventa la possibilità di un contatto con ella riesce a riconoscere quella adottiva. La madre è in Africa e la madre è l’Africa: terra – madre ( dall’arabo afer= terra) da “contattare” con i piedi scalzi o parlando con la luna … ripercorrendo l’errare di leopardiana memoria.  Ci rimanda altresì alla odissea del nomade Oliver Twist,  o a quella di Patrick il protagonista della pellicola Breakfast on Pluto alla ricerca, attraverso le mille peripezie nella gigantesca città che l’ha ingoiato, della madre perduta. Sono tre le madri capaci di consentire il processo di individuazione; quando il ritrovamento della propria identità diventa urgente, esso deve fare i conti con una  finta identità, non è ebreo, non è orfano, quella finta identità che però gli ha salvato la vita. E la conclusione della ricerca è resa possibile quando la sposa del protagonista sta per diventare ella stessa madre. 

A cura della dott.ssa Tiziana Carciotto
Psicologa - VIA SIENA 24, CATANIA

martedì 11 ottobre 2011

I want you! Vota il nostro sondaggio



Carissimi,

mi sono sempre chiesto se sia ben chiara la distinzione tra le varie figure che ruotano attorno al mondo psy, ossia quelle dello psicologo, psicoterapeuta e psichiatra. Forse mi sbaglio, ma l'esperienza maturata mi porta a pensare che questa non sia del tutto chiara per cui, prima di fare un post chiarificatore, da oggi è attivo un sondaggio a riguardo. Vediamo cosa emerge!
Stay tuned

dr Marco Santini
www.percorsipsicologici.com

lunedì 10 ottobre 2011

Mr Jones

Carissimi,

volevo spendere due parole su un film che hanno trasmesso ieri in tv ("Mr Jones" La7) con R. Gere del 1993. L'ho trovato molto interessante e ricco di diversi spunti. In estrema sintesi, la trama è caratterizzata dal rapporto medico-paziente tra il sig. Jones (Richard Gere) che soffre di un disturbo maniaco-depressivo e la sua psichiatra (Lena Olin). Non mi addentro nel merito della storia e vi rimando a siti specializzati per un eventuale approfondimento, però mi è piaciuto come nel film sono stati sviluppati diversi temi come il senso della vita, che passa magnificamente nella musica di Beethoven con L'inno alla gioia della nona sinfonia; il tema del sogno del volo come un lascito di una fantasia e di una leggerezza,spensieratezza infantile, ma, soprattutto, il concetto del disturbo (in questo caso una psicosi maniaco-depressiva, o come diremmo ai giorni nostri, un disturbo bipolare) come malattia e non come condizione esistenziale. Credo che sia importante rimarcare questo concetto, perchè ancora oggi temo che si scivoli troppo spesso "nell'etichettamento" delle persone legandole ad un disturbo, perdendo però la persona in quanto tale, e il sig. Jones ci ricorda di non cadere in questa trappola! Grazie sig.re Jones.

dr Marco Santini
www.percorsipsicologici.com

domenica 9 ottobre 2011

Il nuovo salotto psicologico

Carissimi lettori,

da oggi vogliamo condividere con voi questo spazio web virtuale dove poter discutere e trattare temi legati al mondo del benessere psicologico. Il gruppo di autori di questo blog sono psicologi e psicoterapeuti che per passione, desiderio divulgativo e per "hobby" scriveranno su questo blog, trattando temi di vario genere e di varia natura. Riteniamo però essenziale anche un vostro contributo, ponendoci domande, questioni o temi da approfondire. Credo sia importante specificare che questo non vuole essere uno spazio di terapia o di ascolto ma un incontro tra individui interessati ai temi del mondo psy.
Ringrazio per l'attenzione e l'interesse che vorrete accordarci, un caro saluto al prossimo post

dr Marco Santini
www.percorsipsicologici.com