lunedì 28 novembre 2011

Recensione film "17 ragazze"




Vorrei recensire un film francese del 2011, in cui mi sono imbattuto, un po’ per caso, durante il Festival del cinema di Torino. L’ultimo film a cui ho potuto assistere con il biglietto giornaliero è stato una piacevole scoperta: si intitola 17 filles (ragazze) e parla di alcune adolescenti che decidono di rimanere tutte incinte contemporaneamente. La vicenda è drammatica (tanto più se si pensa che è ispirata a fatti realmente accaduti), ma viene raccontata con un tono leggero, da commedia.
La scelta di adottare questo tipo di linguaggio cinematografico, da parte delle due registe francesi, che hanno collaborato alla realizzazione della pellicola (e che sono anche sorelle) non è stata fatta per sminuire l’importanza del fatto rappresentato, ma per dar voce al punto di vista delle 17 adolescenti protagoniste del racconto, le quali non sembrano rendersi ben conto di ciò che la maternità comporta, a maggior ragione ad un’età così precoce. Per queste ragazze, dare alla luce un bambino, significa solamente ottenere dei vantaggi, non dovendo più sottostare alla legge dei genitori, ma diventando adulte a loro volta. L’agito di gruppo non consente di prendere in considerazione tutti gli aspetti della maternità. L’utopia, e in quanto tale non realizzabile, di questo gruppetto di adolescenti, è quella di costituire una comune, all’interno della quale poter vivere e crescere i propri bambini aiutandosi a vicenda. La figura del maschio è di fatto abolita, puro strumento accessorio per la riproduzione.
Questo gruppo di 17 adolescenti, che così si viene a costituire, dà l’illusione dell’onnipotenza, resa ancora maggiore dal senso di completezza conferito dalla maternità. Su tutto, spicca l’assenza del padre. Padre inteso come elemento terzo, in grado di svolgere una funzione evolutiva, separatrice dell’unità simbiotica madre-bambino. Ma non è solo il padre ad essere una presenza evanescente. Sono gli adulti in quanto tali a non rivestire una funzione pensante per queste adolescenti: non comprendono ciò che sta accadendo, assistono spaesati ed impotenti ai fatti. Sarà un evento traumatico a infrangere l’illusione e a costringere le protagoniste a fare drammaticamente i conti con l’esame di realtà.
Da segnalare la bravura delle attrici, che recitano con grande naturalezza ed esperienza, nonostante la loro giovane età e nonostante fosse la loro prima volta su un set cinematografico.

A cura del dott. Damiano Bertolino
Psicologo - Padova, Via Cavallotti 61
cell: 3669309334

Recensione film "Paranoid Park"


Oggi postiamo la recensione della collega dott.ssa Tiziana Carciotto che ha recensito il film "Paranoid Park", dove sono centrali le problematiche adolescenziali della crescita, soggettivazione e del rapporto con il mondo adulto. Lascio la parola alla collega...


Paranoid Park, drammatico, thriller , 2007
di Gus Van Sant (tit. orig. Paranoid Park)


Un parco di cemento è il ritrovo che gli skaters si sono costruiti per gestire la frustrazione adolescenziale.  Gus Van Sant inquadra gli adulti solo se necessario. Su loro, gli adolescenti, tiene la macchina da presa, a livello polpaccio e abusando del ralenti, quasi a far rivivere la lentezza dei processi psichici. Protagonisti, in questa pellicola, i processi psichici di Alex, 16 anni, glabro skater di Portland che uccide accidentalmente un agente di sicurezza. Da qui un ribollire di volti, rumori, dialoghi. Il tentativo è quello di filtrarli, allontanarli da Sé in modo che la realtà diventi un ricordo da poter guardare con gli occhi, come qualcosa che appartiene al mondo esterno. Meccanismo per padroneggiare ciò che insidia dall’interno: la morte di un uomo causata accidentalmente. E il rimando associativo va al dostoijevskiano Raskolnikov.Riprendendo l’universo dell’adolescenza, già delineato con Will Hunting - Genio ribelle 1997,il regista rappresenta le contraddizioni psicologiche e comportamentali di Alex, e che caratterizzano l’adolescenza, periodo che sfugge ad una chiara definizione. E il silenzio del protagonista diventa la modalità comunicativa d’elezione. La sensazione è che possibili posizioni moralistiche o giustificazionistiche lascino il posto ad una lettura cauta, accompagnata da una bella colonna sonora ,che beve dal rock e da  Nino Rota, con un omaggio al  Fellini di Amarcord e Giulietta degli spiriti. Il suono al posto dei dialoghi.


A cura della dottoressa Tiziana Carciotto
Psicologa - Via Siena 24, Catania

lunedì 21 novembre 2011

Recensione film "Carnage"


Carissimi,
oggi pubblichiamo la recensione del film Carnage di Roman Polanski, scritta dalla collega dott.ssa Elena Munarini. Lascio la parola alla collega, ricordandovi di votare il nostro sondaggio e di segnalarci idee, suggerimenti e vostre riflessioni, sempre ben accette e segno di una vostra continua attenzione, grazie.

Carnage

Mi sono chiesta: di che cosa parla questo film? Si potrebbe dire che ci sono gli spunti per riflettere su tanti temi, psicologici e sociali: i problemi di coppia, il rapporto madre figlio, le guerre che lacerano l’Africa, il cinismo delle case farmaceutiche, l’ingiustizia della giustizia, l’ossessione per i cellulari, addirittura il problema delle bande giovanili…Quindi parla di questo? No, a mio avviso nemmeno un po’. Anzi, nei 79 minuti del suo film Polanski svuota di qualunque spessore tutti questi serissimi argomenti riducendoli ad una puerile parodia, una maschera dietro cui si nascondono sentimenti di insoddisfazione, rancori, disillusione e disperazione. Ma il film non parla poi davvero nemmeno di questo. Semplicemente non è un film che parla, ma è un film che agisce sullo spettatore immergendolo insieme ai quattro protagonisti in una palude primitiva fatta delle brutture che abbiamo dentro. Con loro sperimentiamo la distruttività dei meccanismi di scissione e proiezione, una china priva di appigli in cui in un attimo l’altro catalizza ciò che di noi non tolleriamo e ci permette di odiarlo liberamente. E il film ci consente di vedere, forse più quando è finito che mentre lo si guarda (perché nel mentre la voglia di azzannare il tuo vicino di poltrona è troppo forte…), che mai come quando siamo vittime di questi meccanismi, le differenze individuali si annullano e diventiamo tutti uguali: bambini addolorati, di anche meno di 11 anni, che non possono fare altro che arrabbiarsi e piangere. È un film che non si può definire semplicemente bello o brutto, perché il valore sta nella capacità di far vivere qualcosa di intenso, di molto sgradevole, ma che non si può non sentire come una propria parte che si vorrebbe avere cancellato per sempre diventando grandi: forse che siamo al cospetto del “Perturbante”? 

A cura delle dottoressa Elena Munarini
Psicologa - cell 3381221342

domenica 20 novembre 2011

Recensione libro "Cortesie per gli ospiti"


Carissimi,
è con estremo piacere che oggi lascio la parola per la prima volta alla collega ed amica, dott.ssa Elisabetta Negri, che recensisce il libro di McEwan Ian "Cortesie per gli ospiti"


Avete mai visto la trasmissione tv “Cortesie per ospiti”?  una coppia di amici, parenti, conoscenti, colleghi invita a cena un’altra coppia di amici, parenti, conoscenti, colleghi alla presenza di tre giudici che valutano il menù proposto, lo stile della casa e il saper ospitare e riuscire a creare una situazione di dialogo e di buona convivenza con persone estranee.

Il titolo è preso da un libro intitolato appunto “Cortesie per gli ospiti”.

Anche nel libro si raccontano le storie di due coppie.

Mary e Colin sono fidanzati da sette anni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza al mare e le loro giornate sono scandite da ritmi lenti, silenzi condivisi, spazi individuali, obiettivi comuni, rispetto e stima reciproca. Danno l’idea di una coppia quasi noiosa, tanta è la comprensione e la sintonia dei loro movimenti senza una passione travolgente. Sono i migliori amici l’uno dell’altra.

L’incontro con lo sconosciuto Robert,  spezzerà l’equilibrio della coppia.

Robert racconta la propria storia infantile fatta di crudeltà, prevaricazioni e soprusi.

La casa in cui Robert vive con la moglie Caroline sembra racchiudere molti segreti.

Gli armadi sono chiusi a chiave, i mobili sono pesanti, le collezioni di rasoi diventano soprammobili.

La definizione dei ruoli maschile e femminile è netta:il maschio è dominante, non sono ammesse debolezze, difetti, fragilità; la femmina è sottomessa, succube, non ha una sua volontà, ama l’aggressività, la forza e il potere negli uomini. Le donne ardono dal desiderio di essere dominate dagli uomini.

Robert e Caroline vivono all’interno di un rapporto perverso sado masochistico in cui i ruoli di persecutore e vittima sono definiti e sostenuti.

Mary e Colin all’inizio sono spaventati dall’atmosfera che aleggia nella casa e dai comportamenti dei padroni di casa ma allo stesso tempo ne sono attratti.

Una nuova passione ravviva il loro rapporto e le loro fantasie, portandoli a ricercare ancora la compagnia di Robert e Caroline.

I ruoli si ridefiscono. La coppia Robert e Caroline svela il proprio progetto condiviso e premeditato in cui un altro, un individuo al di fuori della coppia diventa l’oggetto predestinato delle perversioni di entrambe a cui vengono riservate cortesie speciali.

La trasmissione tv evoca convivialità, un ripasso delle regole del galateo e dell’ospitalità … il libro suspense e interrogativi rispetto alla conoscenza di noi stessi e dei nostri limiti … Ho visto la trasmissione e solo dopo e senza conoscere nulla del libro l’ho letto … Il titolo della trasmissione trae in inganno ma vale la pena:una sottile perversione dell’autore? … 

A cura della dott.ssa Elisabetta Negri
Psicologa

sabato 19 novembre 2011

Recensione film "Un'ora sola ti vorrei"


Carissimi lettori,
oggi postiamo una recensione realizzata dal dr Damiano Bertolino su un film-documentario che ha molte linee di confine con il lavoro che svolgiamo nei nostri percorsi di cura, di risignificazione del dolore e dei vissuti delle persone che si rivolgono a noi. 


Un’ora sola ti vorrei è un film-documentario della regista milanese Alina Marazzi. Quest’opera prima, che ha ottenuto il riconoscimento come miglior documentario al festival del cinema di Torino nel 2002, si distingue per il tema che presenta allo spettatore: la ricostruzione della vita della madre della regista stessa.

Un elemento che colpisce, nella visione di questa pellicola è il materiale utilizzato per dare forma al racconto; grazie alle immagini dei filmati amatoriali, girati dal padre e dal nonno della Marazzi, lo spettatore può formarsi una rappresentazione vivida di questa madre, nonostante la narrazione segua lo stream of consciousness. Attraverso libere associazioni la regista dà voce agli affetti più estremi di questa donna morta suicida, quando ella era ancora molto piccola. È la Marazzi stessa a leggere le parole scritte da sua madre su diari e lettere. È lei che, voce narrante, ci conduce alla scoperta di qualcosa di intimo e segreto, che neppure lei conosce, perché di ciò, non conserva memoria. Invece di usare il lettino dello psicoanalista la regista milanese, nipote del fondatore della casa editrice Hoepli, compie un’opera di auto-analisi. Lo fa selezionando e montando le immagini di quei filmati amatoriali. Così facendo, ricostruisce una memoria che le consenta di volgere uno sguardo diverso sul passato e, come in un après coup, può accostarsi riappacificata al ricordo del genitore scomparso 30 anni addietro. In quest’opera di collage, la film-maker riesce nell’impresa di formare un quadro perfettamente riuscito, la cui visione è catartica tanto per lei, quanto per noi.


A cura del dott. Damiano Bertolino
Psicologo - Padova, Via Cavallotti 61
cell: 3669309334

mercoledì 9 novembre 2011

Recensione film "L'età barbarica"




L’età barbarica, commedia, 2007
di Denys Arcand (tit.orig. L'age des tenebres)


Denys Arcand si armonizza alla dimensione onirica evocata da una sala cinematografica e immerge lo spettatore in un limbo in cui “realtà scenica”  e “la fantasia scenica” si confondono. Riuscito espediente per fornire un amaro spaccato della condizione sociale impregnata di solitudine, incomunicabilità, fittizio appagamento nello stacanovismo,  fanatismi politically correct e discutibili e paradossali slogan motivazionali, privilegiati rispetto all’ascolto dei disagi altrui. I vuoti affettivi vengono così colmati dal protagonista Jean Marc, comune impiegato all’ufficio reclami, mediante un grottesco ma malinconico ricorso al sogno ad occhi aperti. Le  fantasie popolate da belle donne consentono una soddisfazione allucinatoria del bisogno erotico-affettivo e una gratificazione sostitutiva del desiderio di esistere ed essere visto come uomo, come padre. Il genere della commedia viene rispettato presentando a tratti una pellicola spassosa, ma ci si accorge presto che la soluzione trovata dal protagonista pare l’unica possibile. Riesce ad essere riconosciuto e a pacificarsi con sé stesso solo quando prende le distanze dal suo mondo, socialmente accettato e rinforzato, ma solo apparentemente. Bravo il regista, che non delude le aspettative dopo Le invasioni barbariche, e bravo Labrèche.

A cura della dottoressa Tiziana Carciotto
Psicologa - Via Siena 24, Catania


 

domenica 6 novembre 2011

Disturbo post traumatico da stress (PTSD)


Carissimi,

l'argomento di oggi è relativo ad un disturbo che colpisce soprattutto gli operatori dei servizi al cittadino che operano in contesti di emergenza, mi riferisco quindi al personale delle ambulanze, gli operatori di pubblica sicurezza, i soldati...tuttavia questo disturbo può essere riscontrato anche nel comune cittadino che ha assistito ad un evento traumatizzante (come è avvenuto, per esempio, ad alcuni newyorkesi che hanno visto cadere le torri gemelle nel 2001). Il disturbo post traumatico da stress è l'insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento. La diagnosi di PTSD necessita che i sintomi siano sempre conseguenza di un evento critico, ma l'aver vissuto un'esperienza critica di per sé non genera automaticamente un disturbo post-traumatico (per nostra fortuna!).  I criteri che caratterizzano questo disturbo sono diversi e riguardano il vissuto traumatico che riemerge con incubi, ricordi spiacevoli ricorrenti ed intrusivi, disagio intenso all'esposizione di fattori che ricordano o simboleggiano la situazione originaria. Oltre a questi elementi vi è un marcato evitamento di tutti gli stimoli che possano far ricordare l'evento-trauma, come per esempio l'incapacità a ricordare qualche aspetto importante del trauma, una riduzione dell'interesse e partecipazione ad attività significative, un'affettività ridotta, sentimenti di distacco verso gli altri, sentimenti di diminuzione delle prospettive future...Tutti questi sintomi (riportati qui solo in piccola parte) portano ad irritabilità, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, difficoltà ad addormentarsi. Molte persone si ritrovano a vivere esperienze traumatiche, ma non tutte sviluppano il disturbo post-traumatico da stress.

Da un recente studio, per esempio, è emerso che solo il 25% delle persone passate attraverso un evento traumatico con conseguenti lesioni fisiche aveva in seguito sviluppato il disturbo (Shalev et al., 1996). Si può quindi concludere che l'evento in sé non può essere l'unica causa del disturbo.
Attualmente la ricerca in questo campo sta tentando di individuare quali fattori distinguano gli individui che in seguito a un grave trauma sviluppano il disturbo post-traumatico da stress da quelli che non lo sviluppano. Il consiglio, concludendo, è quello di monitorare il proprio stato psichico e laddove si riscontrino sintomi simili a quelli soprariportati, si cerchi un aiuto per una loro rapida comprensione e risoluzione.