domenica 29 gennaio 2012

Come farsi aiutare? Un cammino a due





Carissimi,

dopo la pausa dalle vacanze invernali, ho ricevuto diverse mail in merito a malesseri di coppia, personali/esistenziali, familiari...ecc ecc, ma la cosa che mi ha colpito di più era la domanda che queste persone mi ponevano esplicitamente o, talvolta, implicitamente: "ma forse questo malessere non è così importante", "dottore forse le faccio perdere del tempo visto che a volte sto anche meglio ed è un vissuto passeggero" ecc.

Mi colpisce vedere come a volte, anche per i ritmi che la società di impone, non ci fermiano a sentire davvero cosa si muove dentro di noi, sia nei momenti di felicità che in quelli di tristezza, come se il compito ultimo che siamo chiamati a fare nella vita sia quello di sopportare questi vissuti, farceli andare bene, senza una reale voglia di cambiamento. Credo che ci sia anche una buona dose di paura nell'affrontare un cambiamento e, forse, è un bene che ci sia (la paura è anche un meccanismo di difesa che fa evolvere l'uomo) Oltre a questo credo anche che nel superare questo passo importante verso il cambiamento, si pone davanti alla persona un altro problema: affidarsi ad un Altro diverso da sè stesso per stare meglio, a cui ci si rivolge portando le proprie fragilità e malesseri e le proprie paure e fantasie. Passaggio non da poco!

Credo, però, che questo passaggio, questo cambiamento sia maggiormente possibile se sappiamo a chi ci rivolgiamo, a come viene interpretato il lavoro analitico che si stabilisce tra lo psicologo e la persona che richiede un consulto.

Per tale motivo, mi piace terminare questa mia riflessione domenicale con alcune specificazioni sulla figura dello psicologo clinico, per come lo intendo io nel mio lavoro quotidiano a contatto con quelle parti così preziose e così delicate che sopra menzionavo, e che, spesso, comunicano in forme che sono difficili da capire soprattutto in alcuni momenti della propria vita.

Per permettere al lettore una maggiore comprensione e definizione del ruolo dello psicologo che, in questi ultimi anni, è stato affiancato da molte figure più o meno (spesso meno) professionali, vi scrivo di seguito alcuni elementi che spero vi possano aiutare:

Perché rivolgersi a uno psicologo?

Spesso capita che in un determinato momento della propria vita, si percepiscano sintomi che producono malessere, sofferenza o un semplice disagio.

È un errore ritenere che bisogna andare dallo psicologo perché si è irrecuperabili! È un luogo comune da sfatare, e tanto si sta facendo per divulgare una cultura della prevenzione, del sostegno e del benessere.

Rivolgersi a uno psicologo clinico NON SIGNIFICA “essere malati” ma avere una consulto riguardo la propria condizione momentanea o più duratura e cercare insieme al professionista una possibile alternativa al malessere che pesa su se stessi.

La maggior parte delle persone teme la sofferenza personale, il disturbo psichico per la paura di essere considerato un diverso, ma così facendo, si crea un circolo vizioso che impedisce di trovare la via giusta per poter uscire da un momento di impasse.

Attraverso la consultazione si diventa in grado di CAPIRE la propria sofferenza, attivandosi per cercare di alleviarla.

Cosa è una diagnosi e a cosa serve?

Come prima cosa la diagnosi permette di ottenere informazioni sul sintomo lamentato, la sua natura, entità, cause scatenati e conseguenze.

La diagnosi psicologica non si limita però al riconoscimento ed alla classificazione dei sintomi o all’inquadramento di una malattia (come avviene in ambito medico) ma, tenendo conto della complessità e dell’unicità di ogni individuo, si propone di giungere ad una comprensione psicologica che passa necessariamente attraverso la condivisione emotiva e cognitiva di aspetti profondi di sé.

Cosa è la consulenza psicologica (o sostegno psicologico)?

Attraverso la consulenza psicologica si cerca di analizzare, esplorare il problema portato dalla persona che interferisce sul suo benessere fisico e psichico.

Nel percorso di consulenza si stabiliscono gli obiettivi che si vogliono raggiungere e si accompagna il soggetto nei momenti di cambiamento, difficoltà o stasi che vive, cercando di stabilire insieme i passi per poter poi giungere alla soddisfazione dell’obiettivo prefissato.

martedì 10 gennaio 2012

Recensione film "The Tree of life"

Carissimi,

riprendiamo la nostra attività su questo blog con una recensione cinematografica del collega dr. Bertolino. Vi ricordo che per eventuali dubbi, approfondimenti di temi, "angosce, traumi o perplessità" siamo a vostra disposizione. Potete scrivermi alla mia mail santini@percorsipsicologici.com



The tree of life è un film estremamente complesso, che rende vano ogni tentativo di spiegazione. Una lunga prima parte propone una serie di immagini di cui si fa fatica a comprendere il significato, ma che lascia sgomenti per la bellezza della fotografia. È proprio questa, a mio parere, la parola chiave del film: la bellezza. Il piacere che prova lo spettatore risiede nel godimento estetico della visione, in cui si assiste al fluire della vita che muta continuamente forma. 

Le origini del cosmo, la formazione della terra, la nascita della vita, la comparsa dei dinosauri sono parte di un tutto, che porta a ritrovarsi improvvisamente immersi negli Stati Uniti degli Anni ’50, all’interno di una famiglia borghese americana, composta da padre, madre e tre fratelli maschi. Da qui prende il via la seconda parte del film, che ricostruisce, attraverso le sensazioni i pensieri e i ricordi del figlio più grande, le relazioni tra i vari componenti familiari. Il regista non sembra, però, interessato a delineare in maniera chiara ed univoca come le figure dei personaggi, che compaiono sulla scena, emergano dal ricordo che ne fa il primogenito. 

Ciò che conta non è tanto come si siano svolti i fatti del passato, se il padre fosse una persona tirannica e dispotica o, piuttosto un genitore severo, ma giusto. La realtà che emerge ricorda quella multiforme e variegata di Rashmon: non è possibile stabilire, filosoficamente parlando, quale essa sia. Quello che sembra essere il messaggio del film, seppure è possibile trovarne uno (la scena finale rasenta infatti i limiti dell’umana comprensione), è che ognuno di noi possa riuscire a trovare la propria collocazione all’interno di quel fluire multiforme e variegato che è la vita.

A cura del dott. Damiano Bertolino
Psicologo - Padova, Via Cavallotti 61
cell: 3669309334